martedì 2 luglio 2013

Mosaico: origini e storia (parte 2°)

In un precedente articolo "Mosaico: origini e storia (parte 1°)" vi ho parlato dell'assemblaggio tessere in senso generale con alcune notizie sui principali materiali e un pò di storia di questa tecnica, ora invece vorrei parlare in modo un pò più approfondito dei materiali in uso per la tecnica Mosaico, anche conosciuta come Assemblaggio Tessere.
Innanzitutto parliamo dei materiali più usati per le Tessere che possono essere di vario tipo ed avere effetti finali diversi, ciascuno dei quali ha i propri vantaggi:
* i ciottoli
* la pasta di vetro: effetto di trasparenza, colori vivi
* i quadrati d'arenaria: taglio facile e resistenti al freddo
* la ceramica smaltata: grande gamma di colori, ma è un materiale di difficile conservazione
* il marmo: numerosi colori, grande resistenza, ma è un materiale molto pesante
* l'oro e l'argento: si inserisce uno strato d'oro o di argento in una tessera di vetro; lo strato è protetto e si ha un effetto di luminosità.



I ciottoli sono uno dei materiali più antichi utilizzati per la pavimentazione, assemblati insieme formano un disegno e si possono reperire facilmente dato che si possono trovare in natura anche già pronti all'uso.
Infatti se ne trovano esempi a partire dal II millennio a.C., in area minoico-micenea, dove si iniziò ad usare, in alternativa all'uso dei tappeti, una pavimentazione a ciottoli che dava maggiore resistenza al calpestio e rendeva il pavimento stesso impermeabile, il che si ritrova anche in Grecia nel V secolo a.C.
Vetri e Smalti: hanno grande fascino, per le sorprendenti e meravigliose suggestioni di luce che producono. Vengono prodotti per la mancanza di colori particolari in natura, oppure per creare superfici brillanti e resistenti all'acqua. Possono essere utilizzati per mosaici prevalentemente parietali, data la scarsa resistenza all'usura che li rende fortemente deperibili se sottoposti a calpestio. L'unica eccezione è costituita dalle tessere a foglia metallica che possono essere impiegate anche nella pavimentazione.
Specialmente in Egitto, erano associati alla lavorazione delle perle, colorate in verde e turchese. A Roma, solo sotto Augusto la fabbricazione di smalti ha notevoli proporzioni: ad Aquileia si trova un emblema della Nereide su toro marino, costituito da smalti verdi e azzurri per ottenere gli effetti di trasparenza e rifrazione dell'acqua.
Nel XII secolo il monaco Teofilo descrive diverse specie di vetro colorato, opaco come il marmo.
Nel 1203, Venezia chiama i maestri vetrai di Costantinopoli e dà inizio alle fabbriche veneziane del vetro. La produzione di tessere musive vitree e metalliche a Venezia scompare verso la metà del XIII secolo e viene reintrodotta da Lorenzo Radi nell'800, con la riscoperta di segreti perduti, la sperimentazione di nuovi materiali e l'introduzione della lavorazione del mosaico a rovescio. Angelo Orsoni contribuisce alle innovazioni con l'introduzione del riscaldamento a carbone e del rullo per pressare il vetro. Gli esperimenti con materiali nuovi danno origine però a smalti poco resistenti: a San Marco i mosaici dell'800 sono più rovinati di quelli antichi.
Si distinguono diverse tipologie di tessere a matrice vetrosa:

Tessere in vetro omogeneo: tessere di colore omogeneo intenso nero, blu, viola, marrone e verde che impedisce la trasparenza e quindi la visione della malta di allettamento sottostante.
Tessere in pasta vitrea: tessere di vetro colorato nel quale sono disperse fasi (parti omogenee di un sistema che risultano delimitate da una superficie di separazione fisicamente definita, come ad esempio olio più acqua) cristalline o gassose per ridurne la trasparenza e modificarne la tonalità di colore. Possono essere semitrasparenti o opache; si producono in 4 o 5 toni di colore; le più intensamente colorate sono costituite da vetro trasparente, perché la colorazione impedisce di vedere la malta di fondo, mentre le gradazioni più chiare sono ottenute con la dispersione di un minerale cristallino bianco che aumenta l'opacità, con minor quantità di colorante.
Tessere opache: tessere in pasta vitrea nelle quali l'abbondanza di fasi cristalline rende completamente opaco il vetro.
Smalti: tessere traslucide e opache più brillanti e luminose in cui l'effetto di lucentezza è dovuto all'ossido di piombo: per questo sono detti anche vetri al piombo. Sono costituiti da una massa vetrosa portante in sospensione una dispersione colloidale di ossidi di vari metalli con funzione colorante, opacizzante e ossidante. Nel XV secolo a Venezia si producono nuovi materiali con colore intenso e maggiore gamma tonale: sono diversi dalle paste vitree per le superfici più brillanti e per la maggior facilità di taglio. La componente fondamentale è la silice, con aggiunta di fondenti per abbassare la temperatura di fusione: in passato si usava, fino al IX - X secolo, il sodio contenuto nel Natron (sesquicarbonato di sodio) proveniente da depositi egiziani; poi ceneri sodiche di piante litoranee, che contengono anche potassio, ma che rendono il vetro facilmente alterabile. Si aggiungono anche stabilizzanti, come ossidi alcalino-terrosi (ossido di calcio e di magnesio) o ossido di piombo, e formatori e modificatori, come ossido di alluminio per la colorazione e la rifrazione, o ferro, rame, cobalto, manganese, antimonio e stagno.
È fondamentale l'aggiunta di ossido di piombo (10-50%) sotto forma di minio o litargirio, per avere maggior brillantezza, facilità di taglio senza scheggiature, superfici più lucide e una maggiore gamma di colori.

La colorazione avviene in due modi:
1. aggiunta di quantità relativamente piccole di ossidi di elementi cromofori: cobalto per il blu, rame per il turchese, oro colloidale per il rosso, manganese per violetto e marrone, ferro per verde chiaro, azzurro e ambra, cromo per giallo e verde, selenio per rosa e rosso.
2. presenza di sistemi colloidali di particelle insolubili, ossia di pigmenti stabili ad alte temperature: questo sistema è però meno stabile e dà risultati di minor qualità.
Tessere a foglia metallica: tessere nelle quali una sottile lamina di metallo battuto (oro, argento e loro leghe) è fissata a caldo fra due strati di vetro detti supporto (di qualche millimetro di spessore) e cartellina (di spessore più ridotto, anche inferiore al millimetro, ricopre la foglia metallica per proteggerla da ossidazione o distacco e per aumentarne la lucentezza). Risalgono ai vetri cimiteriali dei primi cristiani, fissati nella calce; la foglia veniva applicata al vetro con resina e protetta con vetro incolore. Teofilo tramanda che in epoca Bizantina la foglia era applicata su vetro, cosparsa di polvere di vetro,quindi rimessa in forno: questo non era possibile perché si formerebbero delle bolle.
A Venezia, nella prima metà del 1400, la foglia veniva applicata a caldo sulla lastra e protetta da vetro soffiato direttamente sopra: questo dava una perfetta aderenza, uno spessore uniforme e il tono di colore voluto. Oggi le foglie hanno spessore di 0,15 µm (=0,15 millesimi di millimetro): 20 g corrispondono a 1 cm3, cioè a 6 m2 . Il supporto ha uno spessore di 5–10 mm; su questo si appoggia la foglia, fatta aderire con acqua distillata, e poi la cartellina, di 0,1–1 mm: il tutto viene scaldato nel forno fino al rammollimento dei vetri ma senza raggiungere la temperatura di fusione del metallo (960 °C per l'argento, 1063 °C per l'oro). Si tratta di un procedimento difficile, sia per rendere omogenea la pasta di fondo e la cartellina, sia per l'adesione della foglia durante il riscaldamento: se si usa un adesivo organico (come l'albume) questo si decompone producendo gas. Per fissare chimicamente il metallo al vetro, sul metallo deve formarsi dell'ossido: l'oro e l'argento si ossidano difficilmente, soprattutto l'oro; inoltre la diversa costituzione di metallo e vetro impedisce al vetro di aderire. È necessaria l'assoluta pulizia delle superfici, cosa che in fornace risulta molto difficile. Il raffreddamento, poi, crea tensioni tra metallo e vetro per la diversa contrazione dei materiali, provocando in alcuni casi il distacco della cartellina.
Paste vitree filate: dette anche "mosaico filato", sono costituite da barrette o "teche" ottenute filando il vetro fuso. Nei sec XVI e XVII l'operazione avveniva in fornace: una volta avvenuta la fusione del vetro, questo, anziché essere pressato, veniva colato in cataletti chiamati "trafile", di dimensioni e sezioni diverse. Le teche venivano quindi ricotte e temperate. Dal XIX secolo si preferisce invece la fusione alla fiamma: al posto dello smalto si utilizzano le "madritinte", ovvero paste vitree con un'alta densità di ossidi coloranti. Per ottenere il colore desiderato, si pongono più madritinte, a piccoli pezzi, in un crogiolo, che vengono fuse con una fiamma che raggiunge i 1000 °C, amalgamando bene la massa con "puntelli" metallici. Il fuso così ottenuto viene posto su una pietra refrattaria e pressato fino a dargli la forma voluta, rettangolare, triangolare, ecc., per poi essere nuovamente posto alla fiamma e tirato fino allo spessore voluto. Le teche possono raggiungere anche i 3 m di lunghezza, con diametro da 5 mm a meno di 1 mm. Non richiedono ricottura.
Pietre naturali: Risalgono al IV secolo a.C. mosaici greci e romani di pietre naturali, ciottoli di fiumi e marmi di cava. Le tessere lapidee venivano utilizzate prevalentemente nei mosaici pavimentali per la loro resistenza all'uso e perché possono essere levigate e lucidate. Tuttavia erano usate anche nei mosaici parietali per la varietà dei colori presenti in natura. Si trovano in opera pietre di diverso pregio a seconda delle necessità estetiche o tecniche, per esempio il colore, la lavorabilità e i costi. La lavorabilità è una caratteristica determinante, che comprende la spaccabilità, ovvero la qualità specifica delle pietre a spaccarsi in un certo modo sotto i colpi della martellina: la frattura prodotta non deve essere né conoide né scheggiata.

Le pietre più usate nei mosaici sono i calcari, calcite pura o mescolata a minerali, perché più facili da lavorare e perché presentano più colori. È preferibile tuttavia utilizzarli in ambienti riparati o all'interno degli edifici, perché sotto l'azione degli agenti atmosferici il colore si altera: il nero diventa grigio e il rosso diventa giallo. Si trovano anche graniti, porfidi e alabastri dall'Egitto; sieniti; breccia rosso Levanto e verde prato; marmo rosso di Castelpoggio o rosso antico e bianco di Carrara; marmi bianchi, verdi, rossi e neri dalla Grecia; dall'Asia il marmo Palombino e Pavonazzetto.
Per i colori che sono più difficili da reperire in natura ma anche per ragioni economiche, si producevano smalti, come per giallo e blu, oppure si cuoceva l'argilla fino a vetrificazione, per il rosso.
Talvolta si esponevano alla fiamma i marmi per ottenere sfumature di colore diverse: questo procedimento contribuisce anche a una migliore conservazione nel tempo.
Fino al I secolo d.C. si preferiscono materiali locali, solitamente calcari, tufo, selce. Solo in epoca imperiale si importano materiali pregiati per motivi estetici o per ostentare sfarzo, mentre dopo la caduta dell'Impero si continuano a utilizzare materiali pregiati ottenuti da spoliazioni di edifici già esistenti, fino al XIX secolo, quando cominciano ad essere applicate le prime teorie del restauro conservativo.

I supporti: Il supporto più diffuso è il calcestruzzo (sabbia e cemento) dato il suo basso costo e la sua adattabilità a vari contesti. Si pone sulla parete una rete, quindi uno strato di calcestruzzo almeno di 13 mm di spessore, così da proteggere il mosaico dalla fessurazione.
Si possono anche trovare altri supporti, come il legno (lo si rende impermeabile grazie ad un trattamento chimico, o immergendolo in olio bollente), il vetro, le fibre di legno premute ed fissate (epoca contemporanea), o il compensato (epoca contemporanea).

 Mosaici su supporti autoportanti: L'uso di questi supporti è documentato già in epoca romana: si tratta degli emblèmata, mosaici realizzati su lastre di pietra, legno, rame, ottone o terracotta, inserite successivamente nelle superfici da decorare, o delle icone portatili di epoca bizantina. Decorazioni musive si trovano anche su oggetti di arredamento, liturgico o profano, come altari, pulpiti, tavoli.
Il supporto può essere a "cassina", ovvero avere una cornice rialzata, oppure liscio, nel caso il mosaico vada inserito su una parete o appeso.
Leganti: In antichità si usavano resine vegetali o bituminose, come anche il gesso o miscele di calce e cocciopesto o polvere di marmo o sabbia. Il legante può essere costituito da calce spenta e polvere di mattone e di marmo, mescolate con acqua ed eventualmente olii o resine; stucco a olio; cera, bitume e pece greca, mescolati fra loro.
Le colle: I Romani usavano fissare le tessere anche con la cera , che si è rivelata un ottimo collante. Molti mosaici di Piazza Armerina in Sicilia sono appunto stati fissati con questa tecnica e sono ancora saldi alle intonacature. La più utilizzata è certamente la malta: applicabile su tutte le superfici, si può aggiungere calce per rallentare il tempo di presa.
Si utilizzano anche adesivi a base di cemento, che sono concepiti in funzione del supporto, con vari tempi di presa. L'impiego di due tipi di colla bianca (normale e solubile in acqua) è anche frequente. Infine, in epoca contemporanea si constata l'utilizzo di adesivo siliconico.
 Nel 1800 si riprende lo stucco a olio, usato nel Rinascimento, e viene introdotto il cemento Portland. Oggi esistono in commercio svariati tipi di colle, stucchi e malte, anche se alcuni mosaicisti preferiscono prepararsi da sé l'intonaco tradizionale, con calce e sabbia fine.
Sinopia e disegno preparatorio: La sinopia ha la stessa funzione che nell'affresco: definire la ripartizione degli spazi e creare una guida durante l'esecuzione. Viene tracciata sull'ultimo strato di preparazione, prima del legante vero e proprio, con colori rosso o nero stemperati in acqua o incidendo la malta fresca. Lo strato di legante viene steso a giornate, per evitare che asciughi prima che tutte le tessere siano state collocate. Su questo strato si riporta il disegno definitivo mediante cartone o spolvero: talvolta si completa con campiture sia come riferimento per i colori da utilizzare sia per portare a tono la malta che resterà in vista negli interstizi. Negli emblèmata veniva utilizzata una tecnica particolare: sul supporto viene colato uno strato di gesso, sul quale si appronta il disegno preparatorio. Il gesso viene poi rimosso a piccole sezioni, all'interno delle quali viene steso il legante. Il gesso che resta attorno alla zona rimossa servirà da contenimento al mosaico in fieri.
Inserimento delle tessere: Le tessere vengono tagliate alla misura desiderata con l'ausilio della martellina e del tagliolo, oppure con una pinza speciale, quindi inserite nel legante per circa 2/3 del loro spessore, con le mani o con le pinzette in caso di dimensioni ridotte. L'orientamento varia a seconda della pressione esercitata e degli effetti di luce desiderati, specie nei fondi oro, in cui l'inclinazione arriva ai 45º. Questo procedimento crea una superficie irregolare, caratteristica dei mosaici più antichi, difficilmente riproducibile con il metodo indiretto, che presenta una superficie liscia e uniforme.

Tecniche di esecuzione:
Mosaici parietali: Sul muro grezzo si stende l'arriccio, poi uno strato di malta fine, costituita da marmo, calce e pozzolana. A San Marco si faceva uso di chiodi, anche 37 al m2, per sostenere il mosaico: col tempo si è capito che non servono e inoltre ostacolano i restauri. Nel XII e XIV secolo, a Firenze, si usano calce, polvere di marmo, tufo e gomme. Il Vasari tramanda una ricetta composta da calce, travertino, cocciopesto e albume: la calce aggiunta all' albume costituisce un cemento durissimo.
Metodo diretto: È il metodo migliore, viene eseguito in situ, nelle condizioni di luce nelle quali l'opera verrà vista, importante soprattutto per l'effetto dell'oro. È possibile anche la prefabbricazione su pannelli in cemento armato spessi 2 cm, rinforzati da rete metallica; il mosaico viene eseguito in laboratorio e montato con grappe di ottone.

Metodo indiretto: Il mosaico viene preparato in laboratorio, con le tessere capovolte incollate con la colla di farina su fogli di carta o tela: è adatto per superfici piane, come pavimenti e rivestimenti di piscine, poiché le tessere risulteranno sullo stesso livello e avranno la stessa angolazione. Se il mosaico sarà di grandi dimensioni, la superficie verrà scomposta in parti più piccole e maneggevoli, con il perimetro che segue la decorazione o comunque con contorni frastagliati per mimetizzare meglio i giunti. Il mosaico o le sue sezioni vengono collocate sullo strato di malta o legante ancora fresco e poi battuto con un apposito strumento chiamato "batti", fino a che il legante non sia penetrato attraverso tutti gli interstizi fra le tessere. A questo punto si può asportare la carta e portare così alla luce il mosaico finito.

Sistema a rivoltatura: Diffuso dal XIX secolo, è più preciso del metodo indiretto e consente una maggiore ricchezza di dettagli. Dentro una cassetta di legno, delle dimensioni del lavoro finale o di una delle sue sezioni, con il fondo impermeabilizzato, si stende uno strato di argilla miscelata a pozzolana bagnata. Su questo si traccia il disegno preparatorio e vi si inseriscono direttamente le tessere. Una volta ultimato il mosaico, lo si ricopre con dei velatini di garza, eventualmente rinforzati con tela di canapa, fatti aderire con colla di farina o di amido. Non appena i velatini sono asciutti, si può rivoltare il mosaico, liberarlo dalla cassetta e asportare l'argilla, pulendo accuratamente le tessere. Il mosaico viene così trasferito sulla parete di supporto, come nel caso del metodo indiretto.
Mosaici pavimentali: In Grecia si scavava il suolo fino a 2 m di profondità; veniva gettato uno strato di cementante con ciottoli e schegge di pietra per ottenere uno strato convesso, quindi un impasto di calce, sabbia e cenere spesso 15 cm, ben livellato; infine veniva posto il mosaico. Questo sistema era molto stabile. I Romani usavano livellare la superficie, comprimere il suolo per una maggiore consistenza, quindi sistemare uno strato di ciottoli e pozzolana e uno di pozzolana e schegge di mattone, che venivano compressi; un successivo strato di calce, pozzolana, polvere di marmo e cocciopesto costituiva la base per il mosaico, realizzato su un su bagno di cemento.

Ancora tanto c'è da dire sull'arte del Mosaico e sui suoi Maestri per cui continuerò il discorso in un prossimo articolo

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